Quanto è presuntuoso parlare della morte, credo non se ne possa parlare, magari con la mediazione di filosofia e religione, ma sempre nella consapevolezza di trovarci di fronte ad un evento individuale che l’altro, il morente, sente in modo individuale….
Si dice che la paura della morte è come una valle da attraversare nel viaggio a ritroso nella nostra fanciullezza, che tocca la battaglia ingaggiata per dimostrare a noi stessi che siamo degni d’amore.
Jung scrive “ciò che accade nell’ora segreta del mezzogiorno della vita è l’inversione della parabola, è la nascita della morte”.
Pare che l’inconscio sia relativamente preoccupato della morte, più interessato al modo, alla nostra preparazione.
I sogni possono anticipare il prepararsi di questo evento, nella mia esperienza terapeutica ho avuto la possibilità di riscontrare ciò che la letteratura psicologica riporta, ed ho sempre ascoltato con rispettosa attenzione quanto mi veniva comunicato, osservando che le persone, ormai prossime alla morte, sembrava non chiedessero spiegazioni quanto un ascolto autentico. Ciò invita ancor più a muoversi verso un percorso di individuazione, una presa di contatto consapevole con la propria centralità interiore, occorre volgersi verso l’oscurità per cercare di scoprire il segreto e ciò che esso pretende da noi.
lunedì 19 aprile 2010
noi due, una coppia
In questi due incontri parliamo del fenomeno, oggi assai visibile, della coppia che si forma ma che porta con sé i germi della difficoltà se non della dissoluzione. In particolare parliamo della manifestazione che chiemerò del PUER relativamente al maschio e della PUELLA relativamente alla femmina. Ciò significa toccare le manifestazioni degli archetipi materni e paterni e del loro agire verso i figli. In sintesi si parla di Puer quando l'uomo, non importa l'età, resta troppo a lungo nei limiti della psicologia adolescenziale e quindi dipendente dalla madre. Ciò significa che può comunque sposarsi ma la moglie avrà presto il dubbio e si chiederà quanto l'uomo che sposato é suo marito e il figlio della madre. Se il puer manifesta inoltre una salda componente narcisistica, sempre possibile se la madre lo ha sollecitato in tal senso, la moglie scoprirà un uomo manipolatore, anche seduttivo ma povero di vero sentimento, sempre pronto a nuovi progetti e a possibili abbandoni. Un diverso, e apparentemente contrario aspetto del puer, é la scarsa verve, il tipo sonnolento, magari vivace nella fantasia ma non nella pratica. Per esemplificare in modo macro, quel puer é l'uomo che la scia le chivi della casa coniugale alla madre, la quale non si fa scrupolo di penetrarvi e di decidere anche in modo contrario alla moglie le piccole cose quotidiane. E' l'uomo che di fronte alle rimostranze della moglie non sa spalleggiarla e continua a giustificare la madre. Quanto alla Puella, le sfaccettature sono tante, ma tutte sottendono la ferita col paddre nel processo evolutivo. In questo caso la "trappola" per l'uomo che sposa può essere più sottile giacché, e voglio semplicemente esemplificare, possiamo trovare tra esse il modello della "bambola adorabile", che si offre come contenitore di ciò che l'uomo vuole porvi, o la "ragazza di vetro" timida e fragile, che sollecita la protezione tanto gradita acerti uomini che così si sentono importanti e utili. Possiamo incontrare il modello "avventuriera", tutta istinto, vivacità, esuberante, attraente per l'uomo che vede in lei una possibilità oltre i consueti limiti. Tutte però manifestano, a ben vedere, una componente di debolezza se non di depressione, che prima o poi emerge in modo evidente minando il rapporto. Come uscirne? Io credo che la terapia di coppia abbia certamente un valore, ma sono anche molto convinto che la strada della terapia e dell'analisi personale sia la sola che possa aiutare il riconoscimento delle proprie componenti "malsane" e possa accompagnare la persona in un cammino di autenticità e individuazione in grado di sanare ciò che crea difficoltà personali e di coppia.
CRISI ECONOMICA CRISI PSICOLOGICA
Crisi = momenti difficili non sempre prevedibili
Durante il corso della vita tutti attraversiamo periodi di crisi e di cambiamento in cui le strategie adattative fino a quel momento utili non sono più valide – noi cerchiamo certezze
Ci troviamo di fronte a scelte in nuove situazioni
Possono essere momenti all’insegna dello stress, insoddisfazione, solitudine, confusione, reazioni emotive
Ricordiamoci di quanto abbiamo letto sulla scala dei bisogni Ma slow, sulla scarsa durevolezza del premio o del benefit – sul sistema premiante ecc.
BORSA E FINANZA
Problema reale di chi ha perso il lavoro e paura generata dai media
PICCO di disturbi da stress nei momenti di calo della borsa
Se si tocca il risparmio si tocca l’autostima con paure di impoverimento incontrollabile
Studi USA applicano terapia di gruppo che si dice possa durare due mesi per far capire al piccolo risparmiatore che si può vivere anche senza una specifica riserva di denaro
ABBIAMO AVUTO FIDUCIA NEL LIBERO MERCATO che ci è stato detto per molto tempo e da molti, che avrebbe risolto autonomamente che lo stato doveva starne fuori il più possibile, ma oggi vediamo che lo stato deve fortemente correre in aiuto e che il mercato non solo non si autoregola, ma anche crea ciò che vediamo
Abbiamo vissuto la tesi della irrinunciabile crescita economica, bulimia competitiva, stress da risultato
Secondo alcuni ricercatori (haroche 2002) lo stress da lavoro viene deliberatamente banalizzato dalla politica al fine di non frenare la competizione
DISOCCUPAZIONE
Le conseguenze della crisi del 29 sono state descritte da due psicologi Eisemberg Lazarsfeld
La situazione tipica
TEMI PSICOLOGICI COMUNI
Dolore e tristezza Colpa per impulsi di rabbia Paura di diventare distruttivi
Colpa per essere sopravvissuti Paura di identificarsi con le vittime
Vergogna rispetto all’impotenza Paura di ripetere trauma Intensa rabbia verso la fonte del trauma
Perdita opportunità di relazioni
Isolamento paura dell’altro
Ripartire ciclo vitale
Da solidarietà a angoscia di abbandono panico
Disoccupazione psichica
Erikson = il nostro sviluppo psicosociale si basa sul superamento di una serie di crisi psicologiche, conflitti tra opposte tendenze (dipendenza-autonomia) in concomitanza delle quali allarghiamo e modifichiamo le nostre relazioni e definiamo o ri-definiamo la nostra identità
LA CRISI PSICOLOGICA a seguito della crisi economica ci obbliga e ridefinire e a dire agli altri cosa siamo.
COME ABBIAMO ELABORATO LA NOSTRA STORIA PERSONALE gioca a quel punto un ruolo importante
Si potrebbe dire se non apparisse cinico rispetto alla realtà della perdita del lavoro, che l’arrivo di eventi inattesi è necessario per la crescita e lo sviluppo di nuove strategie
Siamo dunque chiamati a riorganizzare la nostra vita
MITO FAMILIARE MITO AZIENDALE
Mito familiare come un insieme di credenze e di valori assimilati da tutti i soggetti dello stesso clan, costruito nel tempo.
Ciò vale per famiglie o intere popolazioni
Così i miti AZIENDALI che vuole realizzazioni di profitti e benessere, il concetto di GRANDE FAMIGLIA
Ricordata sempre l’importanza della coesione, della collaborazione, dell’obbedienza
Per questo l’organizzazione inquadra le persone e le gerarchizza – come in famiglia -
L’azienda cerca anche attraverso premi, di generare un forte senso di attaccamento, produce fedeltà e merita premio (orologio aziendale retaggio forse di quando non tutti avevano un orologio ---o comunioni in fabbrica)
Anche benefit salute che consentono di far sentire la benevolenza aziendale ma anche la sostituibilità al primo insorgere di inefficienza che viene docilmente dichiarata
Una leadership stabile tende a non rivelare Parmalat Bopal
Ma ora NESSUN MITO SEMBRA FARSI AVANTI per aiutarci a capire dove ci condurrà questa corsa o come si risolverà questa crisi
L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO NON CREA DA SOLA LA DEPRESSIONE ma la sua incidenza nella demolizione delle certezze e delle credenze narcisistiche è certamente una componente delle nuove patologie che hanno contribuito all’ascesa dell’assenteismo
LA PROPRIA IMMAGINE AGLI OCCHI DELLE FIGURE CHIAVE DELLA FAMIGLIA viene modificata e svalutata, il PADRE non osa parlare della propria nuova situazione la MADRE si sente svalutata nel dover ritornare nel ruolo di casalinga –per la donna il lavoro è anche un modo per entrare in contatto con la psiche dell’uomo
Ne consegue una notevole perdita di energia che porta alla DEPRESSIONE che può esprimersi in forma aperta o latente sprofondando in apatia con scivolamento verso il punto zero delle proprie possibilità di inserirsi in nuove strutture
Parte delle DONNE si sottrae al trauma rientrando nel ruolo di casalinghe
Subisce una regressione delle aspirazioni sociali
La disoccupazione può creare crisi familiare e destabilizzare coppie fragili
A livello personale provoca un senso di vergogna e colpevolezza
L’individuo non trova il sostegno di cui ha bisogno, nel proprio ambiente si sente indesiderabile e finisce spesso per diventarlo PROBLEMA DELL’OMBRA E DELLA PAURA DEL DIVERSO O DI CHI CI PROPONE SITUAZIONI CHE ABBIAMO IN PASSATO GIA’ CONOSCIUTO O DELLE QUALI ABBIAMO SENTITO PARLARE O VISTO FILM E noi così non vogliamo tornare - pensiamo all’extra che ci ripropone come erano i nonni
La crisi ci può costringere a ritornare insieme RIUNIRE PER RISPARMIARE ma ciò non cancella storie familiari
La crisi costringe a non dividersi e a restare prigionieri di un matrimonio
ASSENZA DI RICONOSCIMENTO FAMILIARE E SOCIALE = CRESCITA DELLA VIOENZA
OCCORRE IMPARARE A CONOSCERE SE STESSI a cercare di sviluppare nuove abilità professionale e applicare strategie efficaci
La formazione possibile deve porsi il compito prioritario di receperare autostima, vincere la paura, capire gli errori che si commettono quando si è alla ricerca di un lavoro, imparare tecniche elementari
PEGGIORAMENTO DELLA SALUTE
Individuate nell’aumentare della povertà, dello stress e della modifica dei comportamenti
Negli ultimi anni sono AUMENTATI GLI EFFETTI PSICOPATOLOGICI mentre sono diminuiti quelli FISICI
Ansia perdita del sonno, panico, depressione, disordini del sonno disturbi gastrici, bronchiti, cancro al polmone, patologie cardiocircolatorie, nonché INCIDENTI stradali o domestici - quanto l’inconscio ci suicida o gioca all’autopunizione o al richiamo?
Ricerca torinese
Se si considera pari a 1 le cause di mortalità tra gli occupati, si vede che tra i disoccupati raddoppia sia che siano in cerca di occupazione sia che abbiano perso
DIVERSO TRA LE DONNE presumibilmente dal diverso peso pubblico e sociale che ha il lavoro
Rischio di OBESITA aumentato in tutti i casi in cui uno dei due coniugi non era più occupato con eccessi nelle casalinghe con marito disoccupato o nelle occupate con marito disoccupato
DISUGUAGLIANZA E SALUTE MENTALE
Oggetto di un progetto della UE
Danni molteplici e direttamente proporzionati al periodo di disoccupazione (colpa inutilità insicurezza disfunzioni nella vita quotidiana incapacità a gestire il tempo depressione ansia insonnia disturbi apparato digerente
CONSEGUENZE SULLA SOCIETA OVVERO ANCHE QUELLI CHE LAVORANO INIZIANO A TEMERE DI PERDERLO – CONFLITTI TRA MEMBRI PER la trasformazione dei ruolo, perdita della serenità, maltrattamenti, abusi sui minori
Che fare…..
costi della psicologia
A PROPOSITO DEI COSTI DELLA PSICOLOGIA
Il tariffario dell’Ordine degli psicologi prevede che per una seduta di psicoterapia possa essere applicata una tariffa oscillante tra i 40 e i 140 euro.
All’interno di questi valori lo psicologo richiede la cifra secondo lui più adeguata.
Di recente si è sviluppato un piccolo dibattito tra chi afferma che l’applicazione di tariffe “base” ovvero 40-50 euro “svilisce la professione” e chi invece ritiene che occorre valutare, se non richiedere direttamente la sostenibilità economica della persona che si rivolge allo psicologo, specie se, almeno nelle fasi iniziali, si ravvisa l’opportunità di due incontri settimanali.
Qualcuno, molto sbrigativamente, ha detto “la gente pensa che se paga poco vuol dire che vale poco”, mentre altri hanno sostenuto l’idea che fa perno sull’aiuto alla persona anche se questa non può sostenere particolari costi in prospettiva di un intervento non breve.
Questa seconda opzione è quella che incontra il mio istintivo favore nella consapevolezza che un percorso psicologico può essere ritenuto un lusso capace di fermare chi ne avrebbe desiderio se non bisogno, ma che non può sostenerne i costi prolungati.
Mi piacerebbe raccogliere pareri dei lettori che possono scrivere alla mail di questo sito.
Grazie a chi vorrà collaborare.
INVIA IL TUO PARERE
Il tariffario dell’Ordine degli psicologi prevede che per una seduta di psicoterapia possa essere applicata una tariffa oscillante tra i 40 e i 140 euro.
All’interno di questi valori lo psicologo richiede la cifra secondo lui più adeguata.
Di recente si è sviluppato un piccolo dibattito tra chi afferma che l’applicazione di tariffe “base” ovvero 40-50 euro “svilisce la professione” e chi invece ritiene che occorre valutare, se non richiedere direttamente la sostenibilità economica della persona che si rivolge allo psicologo, specie se, almeno nelle fasi iniziali, si ravvisa l’opportunità di due incontri settimanali.
Qualcuno, molto sbrigativamente, ha detto “la gente pensa che se paga poco vuol dire che vale poco”, mentre altri hanno sostenuto l’idea che fa perno sull’aiuto alla persona anche se questa non può sostenere particolari costi in prospettiva di un intervento non breve.
Questa seconda opzione è quella che incontra il mio istintivo favore nella consapevolezza che un percorso psicologico può essere ritenuto un lusso capace di fermare chi ne avrebbe desiderio se non bisogno, ma che non può sostenerne i costi prolungati.
Mi piacerebbe raccogliere pareri dei lettori che possono scrivere alla mail di questo sito.
Grazie a chi vorrà collaborare.
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nuovi media
I giovani, ma anche i giovanissimi, vivono oggi in un ambiente costruito su una pluralità di mezzi di informazione e di comunicazione che imparano ad usare con molta dimestichezza e padronanza (cellulari, internet, face book, YouTube, My Space, Windos life, ipod, giochi elettronici…….) mentre questo mondo risulta a noi adulti molto spesso sconosciuto, trattato con troppo superficialità o al contrario demonizzato.
1- Chiediamo al Dott. Crimi, quale influenza esercitano questi mezzi sulla crescita dei ns bambini e nella formazione dell’identità dell’adolescente?
Una prima considerazione è la proposta di modelli e modalità sovente finti se non falsi, però in grado di attivare attese al confronto delle quali la realtà è perdente in quanto non competitiva, e nella realtà pongo anche la famiglia, i padri e le madri, normalmente meno “vincenti” rispetto al modello
L’influenza può essere grande, specie se la famiglia fatica a proporre un proprio modello adulto, critico, solido, ed è bene, al riguardo, porsi un interrogativo scomodo, ovvero quanto la famiglia, al di là del dichiarato, nei fatti sposa modelli collettivi
2- Sono in grado i ns ragazzi di gestire correttamente l’enorme quantità di informazioni che inviano e ricevono?
Una novità da considerare è che questa enorme quantità di informazioni “di massa”, in realtà sono di consumo individuale, inoltre la comunicazione è rapidissima e consumata in breve tempo, tale da stimolare emozioni le quali, a loro volta, proprio perché costanti, diseducano a sentire le proprie sino a creare dipendenza dalle emozioni stesse.
La famiglia dovrebbe sorvegliare molto l’utilizzo delle tecnologie, forse che i genitori pensano ancora che il cellulare serve per sapere dove sono i loro figli ? Forse è necessario documentarsi sulle svariate possibilità che ad esempio un cellulare o Face book offrono.
Resta sempre fisso un punto, l’esempio, l’educazione, la presenza il senso critico e la coerenza che la famiglia trasmette rappresentano l’antidoto da un uso distorto o abnorme
3- Se e in quale misura questi mezzi condizionano i modelli sociali, culturali ed etici di comportamento?
Credo che basti volgere l’occhio attorno perché ognuno possa rispondere, semmai occorre chiedersi cosa facciamo, nel concreto, nella nostra casa, nella società, nella “polis”, per contrastare modelli che quanto meno ci turbano. Provocatoriamente mi chiedo come si possa però criticare se poi accettiamo e guardiamo ore e ore di trasmissioni televisive che propongono modelli che ben poco hanno a che fare con la crescita etica e morale
4- E’ possibile, secondo lei, educare-istruire anche con i nuovi media (per es. facendo studiare le tradizionali discipline scolastiche mediante questi strumenti)?
Mi è difficile rispondere a questa domanda in linea generale, credo sia più credibile rispondere che è già possibile ora trasmettere sapere “scolastico” a condizione che l’utente sia persona già adeguatamente formata e motivata (corsi universitari o post laurea), mentre credo sia più difficile sostituire il buon insegnante ed il rapporto interattivo emozionale e diretto che si deve sviluppare
5- Quali consigli può dare a noi genitori rispetto all’uso di questi moderni mezzi da parte dei ns figli?
Posto che è ormai inutile e illusorio pensare che non vengano utilizzati, e che non dobbiamo farli diventare (negandoli), oggetto di desiderio, la famiglia deve interrogarsi sui tempi e sui modi, nonché sulla tipologia dei mezzi di comunicazione che si possono mettere a disposizione.
Non si devono demonizzare, anzi, la loro conoscenza è talvolta indispensabile, resta compito dei genitori parlare, discutere, far conoscere il proprio pensiero, trasmettere ai figli valori e, ancora una volta lo dico, trasmettere capacità critica
1- Chiediamo al Dott. Crimi, quale influenza esercitano questi mezzi sulla crescita dei ns bambini e nella formazione dell’identità dell’adolescente?
Una prima considerazione è la proposta di modelli e modalità sovente finti se non falsi, però in grado di attivare attese al confronto delle quali la realtà è perdente in quanto non competitiva, e nella realtà pongo anche la famiglia, i padri e le madri, normalmente meno “vincenti” rispetto al modello
L’influenza può essere grande, specie se la famiglia fatica a proporre un proprio modello adulto, critico, solido, ed è bene, al riguardo, porsi un interrogativo scomodo, ovvero quanto la famiglia, al di là del dichiarato, nei fatti sposa modelli collettivi
2- Sono in grado i ns ragazzi di gestire correttamente l’enorme quantità di informazioni che inviano e ricevono?
Una novità da considerare è che questa enorme quantità di informazioni “di massa”, in realtà sono di consumo individuale, inoltre la comunicazione è rapidissima e consumata in breve tempo, tale da stimolare emozioni le quali, a loro volta, proprio perché costanti, diseducano a sentire le proprie sino a creare dipendenza dalle emozioni stesse.
La famiglia dovrebbe sorvegliare molto l’utilizzo delle tecnologie, forse che i genitori pensano ancora che il cellulare serve per sapere dove sono i loro figli ? Forse è necessario documentarsi sulle svariate possibilità che ad esempio un cellulare o Face book offrono.
Resta sempre fisso un punto, l’esempio, l’educazione, la presenza il senso critico e la coerenza che la famiglia trasmette rappresentano l’antidoto da un uso distorto o abnorme
3- Se e in quale misura questi mezzi condizionano i modelli sociali, culturali ed etici di comportamento?
Credo che basti volgere l’occhio attorno perché ognuno possa rispondere, semmai occorre chiedersi cosa facciamo, nel concreto, nella nostra casa, nella società, nella “polis”, per contrastare modelli che quanto meno ci turbano. Provocatoriamente mi chiedo come si possa però criticare se poi accettiamo e guardiamo ore e ore di trasmissioni televisive che propongono modelli che ben poco hanno a che fare con la crescita etica e morale
4- E’ possibile, secondo lei, educare-istruire anche con i nuovi media (per es. facendo studiare le tradizionali discipline scolastiche mediante questi strumenti)?
Mi è difficile rispondere a questa domanda in linea generale, credo sia più credibile rispondere che è già possibile ora trasmettere sapere “scolastico” a condizione che l’utente sia persona già adeguatamente formata e motivata (corsi universitari o post laurea), mentre credo sia più difficile sostituire il buon insegnante ed il rapporto interattivo emozionale e diretto che si deve sviluppare
5- Quali consigli può dare a noi genitori rispetto all’uso di questi moderni mezzi da parte dei ns figli?
Posto che è ormai inutile e illusorio pensare che non vengano utilizzati, e che non dobbiamo farli diventare (negandoli), oggetto di desiderio, la famiglia deve interrogarsi sui tempi e sui modi, nonché sulla tipologia dei mezzi di comunicazione che si possono mettere a disposizione.
Non si devono demonizzare, anzi, la loro conoscenza è talvolta indispensabile, resta compito dei genitori parlare, discutere, far conoscere il proprio pensiero, trasmettere ai figli valori e, ancora una volta lo dico, trasmettere capacità critica
Woman in change
CONGRESSO
25/26/27 MARZO 2010
Una storia tormentata
Riflessioni sul problema della sterilità di coppia
Nell’ambito del convegno “Women in change” tenutosi a Modena a fine marzo 2010, propongo la sintesi delle riflessioni in ordine al problema della sterilità di coppia e degli interventi terapeutici nel tentativo di realizzare il concepimento.
In generale per la coppia il figlio significa molte cose, prima fra tutte dar corpo al prosieguo della vita della famiglia, ma anche realizzare e dar vita alle migliori fantasie, confermare armonia tra i coniugi, eguagliare i genitori che ci hanno preceduto, confermarsi nella capacità di concepire e dunque nella possibilità di riconoscersi nella “normalità” delle coppie.
La sterilità può assumere dunque i connotati di una colpa che un coniuge può assumersi se in lui si può ritrovare la causa, o ancora la sterilità può apparire un castigo, la sottrazione di un diritto, il ché può portare a sentimenti di invidia, di vergogna con conseguente aggressività sia all’interno della coppia che verso l’esterno.
La sterilità può minare la coppia seriamente, facendo emergere le fantasie e i fantasmi più nascosti che una immaginata procreazione teneva sopiti.
Occorre anche affrontare il lutto ricorrente di una mensile perdita fino al lutto permanente nel quale si piange una persona che non c’è, che non c’è mai stata e che con la sua assenza priva anche della possibilità di essere in qualche modo ritrovato nei riti consolatori che accompagnano la fine vita.
La sessualità può risentirne fortemente perdendo quelle caratteristiche ludiche, di relazione, di seduzione che dovrebbero distinguerla, per diventare quasi un dovere, un obbligo finalizzato e dunque ansiogeno.
Varie ricerche hanno messo in evidenza come fattori di stress, meccanismi psicosomatici e recondite attese possono influenzare il concepimento, in particolare quando la sterilità è valutata dai medici sine causa.
La stessa personalità femminile viene osservata come possibile maggiore inclinazione a favorire fenomeni di infertilità laddove si manifesta in modalità marcate e conflittuali , quando per conflitto intendo l’inconscio rapporto della donna con la propria storia.
Penso agli aspetti di mascolinità della donna – amazzone o alla dipendenza della donna immatura e auto svalutante.
Penso alle discrepanze tra il concetto di sé attuale rispetto ad un sé ideale coltivato nel tempo e semmai imposto dall’esterno.
Nel percorso della ricerca di un figlio si è notato che è la donna che pone maggiore accanimento mentre il marito è maggiormente incline ad abbandonare i tentativi.
Le ragioni credo siano facilmente comprensibili legate come sono alle diverse sensibilità maschili e femminile, alle diverse modalità di autorealizzazione nella vita, all’immagine che ognuno ha di sé anche agli occhi del mondo.
Occorre anche osservare, e non appaia un distinguo esagerato, che si può ritrovare una inconscia differenziazione tra il desiderio di concepire e il desiderio di un figlio.
Il concepire tocca aspetti di narcisismo che esclude il limite, ossia ok possiamo concepire come gli altri, mentre un figlio reale prolunga la nostra vita nel futuro, mantiene viva una sorta di onnipotenza originaria.
L’inizio dei trattamenti ai quali la coppia si sottopone rivolgendosi alle strutture mediche specialistiche in obiettivo gravidanza richiede elaborazioni forti rispetto all’invasività fisica e mentale.
La donna in particolare sa di essere la persona focale anche se la difficoltà di concepimento è attribuibile al coniuge, i medici diventano punto di riferimento, il timore del fallimento resta nell’aria, l’attesa palpabile.
La scienza cerca ragioni, spiega ma non può arrivare in quel terreno oscuro, inconscio, dove vivono i fantasmi delle persone, le fantasie, e i desideri non sempre consapevoli.
Dopo ripetuti fallimenti la coppia può iniziare a pensare all’adozione, e dunque si aprono nuove attese, fantasie, speranze in ordine al “tipo di bambino da scegliere”
Ma questo è altro capitolo che ci porta lontano rispetto al tema specifico del convegno.
Resta da dire sul ruolo possibile dello psicologo, chiamato a creare uno spazio, un contenitore emotivo ove tutte le fantasie, i pensieri possono essere espressi, e dunque perdere il potere di dividere, di portare nel tempo qualcosa che pesa e continuerà a pesare sino a quando non verrà espresso ed elaborato.
Lo psicologo deve saper creare accoglienza, offrire anche informazioni di concerto con i medici, aiutare e vedere ciò che nei due singoli coniugi si muove in ordine alla sterilità, all’idea di sé, di famiglia, e, non ultimo, aiutare nell’elaborazione del possibile “lutto permanente” nonché alle possibili soluzioni “altre” quali l’adozione.
25/26/27 MARZO 2010
Una storia tormentata
Riflessioni sul problema della sterilità di coppia
Nell’ambito del convegno “Women in change” tenutosi a Modena a fine marzo 2010, propongo la sintesi delle riflessioni in ordine al problema della sterilità di coppia e degli interventi terapeutici nel tentativo di realizzare il concepimento.
In generale per la coppia il figlio significa molte cose, prima fra tutte dar corpo al prosieguo della vita della famiglia, ma anche realizzare e dar vita alle migliori fantasie, confermare armonia tra i coniugi, eguagliare i genitori che ci hanno preceduto, confermarsi nella capacità di concepire e dunque nella possibilità di riconoscersi nella “normalità” delle coppie.
La sterilità può assumere dunque i connotati di una colpa che un coniuge può assumersi se in lui si può ritrovare la causa, o ancora la sterilità può apparire un castigo, la sottrazione di un diritto, il ché può portare a sentimenti di invidia, di vergogna con conseguente aggressività sia all’interno della coppia che verso l’esterno.
La sterilità può minare la coppia seriamente, facendo emergere le fantasie e i fantasmi più nascosti che una immaginata procreazione teneva sopiti.
Occorre anche affrontare il lutto ricorrente di una mensile perdita fino al lutto permanente nel quale si piange una persona che non c’è, che non c’è mai stata e che con la sua assenza priva anche della possibilità di essere in qualche modo ritrovato nei riti consolatori che accompagnano la fine vita.
La sessualità può risentirne fortemente perdendo quelle caratteristiche ludiche, di relazione, di seduzione che dovrebbero distinguerla, per diventare quasi un dovere, un obbligo finalizzato e dunque ansiogeno.
Varie ricerche hanno messo in evidenza come fattori di stress, meccanismi psicosomatici e recondite attese possono influenzare il concepimento, in particolare quando la sterilità è valutata dai medici sine causa.
La stessa personalità femminile viene osservata come possibile maggiore inclinazione a favorire fenomeni di infertilità laddove si manifesta in modalità marcate e conflittuali , quando per conflitto intendo l’inconscio rapporto della donna con la propria storia.
Penso agli aspetti di mascolinità della donna – amazzone o alla dipendenza della donna immatura e auto svalutante.
Penso alle discrepanze tra il concetto di sé attuale rispetto ad un sé ideale coltivato nel tempo e semmai imposto dall’esterno.
Nel percorso della ricerca di un figlio si è notato che è la donna che pone maggiore accanimento mentre il marito è maggiormente incline ad abbandonare i tentativi.
Le ragioni credo siano facilmente comprensibili legate come sono alle diverse sensibilità maschili e femminile, alle diverse modalità di autorealizzazione nella vita, all’immagine che ognuno ha di sé anche agli occhi del mondo.
Occorre anche osservare, e non appaia un distinguo esagerato, che si può ritrovare una inconscia differenziazione tra il desiderio di concepire e il desiderio di un figlio.
Il concepire tocca aspetti di narcisismo che esclude il limite, ossia ok possiamo concepire come gli altri, mentre un figlio reale prolunga la nostra vita nel futuro, mantiene viva una sorta di onnipotenza originaria.
L’inizio dei trattamenti ai quali la coppia si sottopone rivolgendosi alle strutture mediche specialistiche in obiettivo gravidanza richiede elaborazioni forti rispetto all’invasività fisica e mentale.
La donna in particolare sa di essere la persona focale anche se la difficoltà di concepimento è attribuibile al coniuge, i medici diventano punto di riferimento, il timore del fallimento resta nell’aria, l’attesa palpabile.
La scienza cerca ragioni, spiega ma non può arrivare in quel terreno oscuro, inconscio, dove vivono i fantasmi delle persone, le fantasie, e i desideri non sempre consapevoli.
Dopo ripetuti fallimenti la coppia può iniziare a pensare all’adozione, e dunque si aprono nuove attese, fantasie, speranze in ordine al “tipo di bambino da scegliere”
Ma questo è altro capitolo che ci porta lontano rispetto al tema specifico del convegno.
Resta da dire sul ruolo possibile dello psicologo, chiamato a creare uno spazio, un contenitore emotivo ove tutte le fantasie, i pensieri possono essere espressi, e dunque perdere il potere di dividere, di portare nel tempo qualcosa che pesa e continuerà a pesare sino a quando non verrà espresso ed elaborato.
Lo psicologo deve saper creare accoglienza, offrire anche informazioni di concerto con i medici, aiutare e vedere ciò che nei due singoli coniugi si muove in ordine alla sterilità, all’idea di sé, di famiglia, e, non ultimo, aiutare nell’elaborazione del possibile “lutto permanente” nonché alle possibili soluzioni “altre” quali l’adozione.
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