Sara Crimi e -omissis - fra le altre attività, traduttori in ambito editoriale, una professione che nel corso del tempo è divenuta sempre più gremita di persone, oltre che mal pagata. Ne parliamo con loro provando ad addentrarci in territori sconosciuti ai più. Qual è stato il vostro percorso formativo?
Sara: Non posso che dare una risposta probabilmente già sentita: l’amore per le lingue straniere, la lettura e la scrittura è nato con me, mi appartiene da sempre. Il liceo linguistico, la facoltà di lingue, i frequenti viaggi all’estero e i corsi di approfondimento sono stati la strada “obbligata” che ho percorso per continuare a coltivare i miei interessi, senza – lo ammetto – darmi un obiettivo preciso. Durante e dopo gli studi, ho insegnato inglese, ho lavorato come interprete e sono stata impiegata in un ufficio commerciale estero per un anno e mezzo. La svolta è arrivata quando, nel 2001, ho letto su Repubblica il bando di concorso per un Master in traduzione letteraria per l’editoria e ho sentito con chiarezza che quella doveva essere la mia strada. Dopo il corso ho fatto tre mesi di stage nell’ufficio editoria di un ente culturale trentino (dove ho imparato moltissimo) e ho cominciato a tradurre.
Finché avete trovato il modo di utilizzare le lingue in ambito editoriale: come è stata la prima esperienza?
Sara: Un battesimo del fuoco. Una casa editrice milanese cercava un traduttore per un testo destinato agli studenti della Bocconi: un saggio sulla dinamica delle regole nelle organizzazioni. Stavo ancora seguendo le lezioni del Master e fino a quel momento mi ero esercitata su testi letterari, poesie e articoli di giornale, ma non avevo idea di come organizzare il lavoro sul campo. Ricordo una notevole ansia da prestazione, la paura di non riuscire a rispettare la scadenza, la voglia di riscrivere daccapo tutto quanto. Lavoravo a stretto contatto con i curatori (uno a Milano e uno negli Stati Uniti), cercavo di porre il minor numero di domande possibile (oggi so che la mia ritrosia era ingiustificata, perché la collaborazione fra traduttore e revisore è essenziale), mi sono procurata manuali di statistica, matematica ed economia, portavo con me le bozze ovunque andassi e obbligavo amici e marito ad ascoltare le mie letture ad alta voce. Con gli anni il metodo non è cambiato granché, mentre la paura di non essere all’altezza è andata sfumando in favore di una maggiore concentrazione e consapevolezza di me.
Sara appartiene alla nuova generazione di traduttori, Alberto alla precedente, pensate di assomigliarvi nella gestione di un testo o sono intervenuti negli ultimi anni nuovi elementi professionali?
Sara: Credo che – pur traducendo opere di genere assai diverso – la gestione del testo assomigli sempre a quello che Giuseppe Iacobaci, un collega che stimo molto, una volta definì “un incontro di Sumo” fra autore e traduttore. Penso altresì che negli ultimi anni siano intervenuti nuovi e decisivi elementi professionali, il primo dei quali è senza dubbio Internet. Per me che faccio questo mestiere da meno di dieci anni, l’uso delle risorse web (dizionari, glossari, immagini, cataloghi delle biblioteche …) e delle liste e dei gruppi online di traduttori è prassi quotidiana e fonte di supporto continua e irrinunciabile. Per quanto mi sia capitato spesso di visitare di persona le biblioteche di mezza Italia alla ricerca di una citazione di poche righe, il più delle volte il mio lavoro di ricerca è giocato in Rete, con un notevole risparmio di tempo, energie e denaro.
Sara: Questo mestiere si fa per amore, è un dato di fatto. Il che, sia chiaro, non deve significare che lo si debba fare a ogni costo e a qualunque condizione. Elencarne le virtù significa dare una diapositiva di se stessi: c’è chi – come me – ama la dimensione solitaria di questo mestiere, il contatto stretto e continuo con i libri, il rapporto esclusivo con il testo che si sta traducendo, la possibilità di organizzare le proprie giornate (e, spesso, le proprie nottate), la libertà derivante dall’essere liberi professionisti. Il rovescio della medaglia è costituito da guadagni non sempre commisurati allo sforzo, al tempo e all’impegno necessari per portare avanti un progetto, da tempi di consegna spesso strettissimi, dalla necessità di lavorare a più cose contemporaneamente per far quadrare i conti. La difficoltà maggiore a mio avviso consiste nel trovare uno spazio di manovra per negoziare tariffe e condizioni contrattuali con i committenti, nell’esercitare il proprio diritto/dovere di contrattare per raggiungere accordi equi, senza cedere alla tentazione di lavorare ad ogni costo. Due aspetti che sottolineo sempre quando tengo i seminari agli aspiranti traduttori sono il non accettare qualsiasi tariffa pur di vedere il proprio nome stampato su un libro e il saper dire no a un progetto che, per ragioni
Parlateci dei contratti.
Sara: Per quanto ogni editore abbia una propria versione del contratto di traduzione, ci sono dei punti comuni. Anzitutto il diritto d’autore: il traduttore cede all’editore il diritto ventennale (anche se sono sempre di più i casi di traduttori che “strappano” un periodo più breve) di sfruttamento della traduzione. Assai di frequente è citata la clausola dell’accettazione unilaterale (da parte dell’editore) della traduzione, clausola che può rivelarsi molto insidiosa in caso di controversie. I contratti dovrebbero menzionare l’obbligo da parte dell’editore di citare debitamente il nome del traduttore e di consentirgli di visionare le bozze prima della stampa. Una clausola che nessun traduttore dovrebbe mai accettare è quella del pagamento all’uscita del volume, perché gli editori hanno la facoltà di non far uscire un libro che pure hanno commissionato (a me è successo due volte, ma in entrambi i casi ero stata pagata alla consegna). Ci sarebbe molto altro da dire, ma quel che più mi interessa sottolineare qui è la necessità di una presa di coscienza – sia da parte di chi fa questo mestiere da anni, sia da parte degli esordienti – del proprio ruolo in quanto soggetto attivo di una transazione commerciale che, per quanto possibile, non dovrebbe essere subita dal traduttore.
Si può vivere in Italia soltanto di traduzioni di libri?
Sara: Al contrario di quanto sembrerebbe dimostrare il mio percorso professionale (traduco libri e siti web, mi occupo di redazione e di tanto in tanto tengo seminari), sì, è possibile vivere soltanto di traduzioni di libri, e conosco diversi professionisti che lo fanno. Penso però che per mantenersi con le sole traduzioni editoriali occorra una qualità fondamentale: poter garantire a se stessi ancor prima che all’editore una “curva di rendimento” ottimale che crei un equilibrio perfetto fra tempi di consegna, qualità, continuità del lavoro e tariffe.
E come si accede alla professione – non in termini formativi, ma occupazionali –, bussando alla porta o conoscendo chi aprirà quella medesima porta?
Sara: Entrambe le strade possono portare dei risultati, ma occorre spiegare le differenze. “Bussare alla porta” richiede un’ottima conoscenza del mercato editoriale e dei cataloghi degli editori cui ci si propone, un notevole talento per lo scouting, molta fiducia in se stessi e una scorta pressoché inesauribile di pazienza e caparbietà. Secondo alcuni, proporre nuovi titoli è il modo più efficace per farsi notare dagli editori. A mio avviso giocare questa carta non è facile come sembra, ma è vero che può dare grandi soddisfazioni. Quanto al “conoscere chi aprirà quella medesima porta”, una precisazione è d’obbligo: conoscere qualcuno che già lavora nell’ambiente e può fare il nome di un traduttore alle prime armi non significa essere raccomandati nel senso più deteriore e – perdonatemi – più italiano del termine. Significa avere la possibilità di essere messi alla prova perché qualcuno ha fiducia in te e ti dà un’occasione. Chi entra in casa editrice solo perché è “amico, fratello o cugino di” ma non ha talento, farà poca strada; diverso è poter essere presentati, raccomandati, per la propria bravura. E qui entra in ballo un altro fattore determinante per l’accesso alla professione: la rete di contatti che ci si costruisce nel tempo.
Tre consigli a chi pensa di intraprendere la vostra stessa strada.
Sara: (1) Essere pronti a una gavetta che in alcuni casi può essere molto lunga; (2) Tradurre, tradurre, tradurre e poi ancora tradurre: l’allenamento è essenziale; (3) Muoversi, conoscere, parlare, ascoltare, leggere di tutto e di tutti.
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